Pietro Berti

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Anchorage

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venerdì 4 marzo 2011

I motivi del "NO ponte stretto di Messina"

1. Il Ponte sarà pagato dallo Stato.
I privati non rischieranno un Euro, rinviate le opere che servono al Sud
Il sistema proposto dal Governo prevede che sia la Società Stretto di Messina SPA attraverso una nuova concessione, ad avere l’incarico per la costruzione e gestione del progetto.
In questo modo viene detto "Il Ponte sarà realizzato senza contributi dello Stato".
Una evidente bugia smentita dai fatti:
Il finanziamento dell’opera sarà garantito da Fintecna di proprietà del Ministero del Tesoro, attraverso un aumento di capitale di 2,5 miliardi della Società Ponte sullo Stretto per coprire il 41% della spesa complessiva.
I restanti fondi verranno chiesti al mercato nella forma di prestito sulla base del piano finanziario presentato dalla Società e vi rientreranno tramite i flussi previsti.
Lo Stato si impegna a coprire i rischi, rimborsando a consuntivo i privati della differenza tra flussi previsti e reali.
Vuol dire che Tremonti e Lunardi sono coscienti che il piano finanziario non è credibile ed è quindi necessario trovare un artificio contabile per tenerlo fuori bilancio dello Stato (per non aumentare il debito pubblico) e rinviare di alcuni decenni la restituzione degli oneri sugli interessi e sull’aumento dei costi.
In questo modo lo Stato investe 2,5 miliardi a fondo perduto che potevano essere utilizzati per altre opere più utili (per esempio le ferrovie siciliane, le risorse idriche, la portualità).
Poiché non si è in grado oggi di garantire sulla veridicità delle proiezioni legate ai flussi, lo Stato si impegna a coprire la differenza tra quanto previsto dal piano finanziario e il ritorno di cassa dai flussi (di fatto a rimborsare i privati del prestito).
In questo modo la spesa per l’opera verrà rinviata alle future generazioni.
Nessun privato verrà coinvolto nella gestione economica e nei rischi di un opera che con gli oneri finanziari costa 6 miliardi di Euro.
Il che dimostra come non fossero vere tutte le promesse di questi anni sulle merchant bank private, sugli immigrati americani, sulla fila di imprenditori che non aspettavano altro. Stretto di Messina Spa, è infatti di proprietà di Fintecna e di altri soggetti pubblici (Fs, Anas, Regioni Calabria e Sicilia).
Il Governo non ha scelto il modello utilizzato in opere simili per dimensione e costi come il Tunnel sotto la Manica e il Ponte sull’Oresund, dove erano consorzi privati che investivano e rischiavano scommettendo sulla redditività della gestione, perché si rende conto che l’opera non è realizzabile in maniera trasparente.
Sono anche qui i motivi per cui il Governo sta cercando di aggirare le direttive europee che obbligano alla gara per l’affidamento di nuove concessioni. E’ infatti evidente che con una gara si renderebbero noti i numeri dell’architettura finanziaria e quindi ci sarebbe il rischio che vada deserta; i motivi nascosti sono anche nel fatto che il "progetto" (preliminare, definitivo, esecutivo) è una miniera d’oro per chi lo gestisce (Stretto di Messina), pagato a percentuale sull’opera più complessa al mondo. Le Regioni Calabria e Sicilia, malgrado i noti problemi finanziari, nei Bilanci 2003 hanno impegnato diversi miliardi per contribuire al progetto.
Il Governo dice "non ci saranno finanziamenti a fondo perduto".
Ma l’investimento da parte di Fintecna è evidente che non avrà mai un ritorno (lo dicono gli Advisor, anche nella migliore proiezione almeno il 40% della spesa deve essere da parte dello Stato come investimento senza rientro) mentre a fondo perduto sarà la copertura del buco a consuntivo.
Ciucci nel rispondere ad una lettera a Repubblica (19-2-2003) che sottolineava "i privati scomparsi dal ponte sullo Stretto" si è avventurato in una ardita quanto fumosa spiegazione di tipo finanziario. In particolare ha sottolineato "la fondamentale differenza che esiste tra i contributi statali a fondo perduto, che sono un costo immediato per la collettività, e gli investimenti di capitale, che pur provenendo da azionisti della sfera pubblica devono rispondere a principi di carattere privatistico che presuppongono la capacità dei progetti finanziati di remunerare e rimborsare il capitale investito".
In parole povere: mentre lo Stato quando investe su un opera non deve ritornare della spesa, La Società si rifarà dell’investimento tramite una attenta e efficiente realizzazione e poi gestione.
Ma allora i casi sono due: o Ciucci dice che l’opera è remunerativa al 100% e in grado di ripagarsi tramite i flussi, ma nessuna proiezione nemmeno lontanamente profila una prospettiva di questo tipo. Ma in questo caso perché non affidarla a privati?
Oppure come è più probabile Fintecna non rientrerà mai dell’investimento, la spesa non entrerà subito nel debito pubblico, ma solo tra qualche decina di anni.
2. I flussi previsti sul Ponte sono sovradimensionati.
I dati presentati nel progetto sui flussi risultano sovrastimati rispetto alle previsioni degli Advisor (Pricewaterhouse Cooper) realizzate per il Governo nel 2001. Una differenza che varia dal 25 al 60% in più a seconda dell’anno di riferimento e dello scenario considerato.
Un aspetto fondamentale perché è sulla base di queste proiezioni che è stato costruito il piano finanziario.
La Società Stretto di Messina nell’ammettere la differente stima dei flussi ha giustificato tale proiezione sostenendo che sarà "l’effetto positivo provocato dalle opere della legge obiettivo e dal prolungamento dell’Alta Velocità ferroviaria fino a Reggio Calabria" a fare da traino.
Ma i flussi previsti dalla Società Stretto di Messina sono in controtendenza rispetto a tutti i dati di questi anni.
E’ infatti del tutto evidente che il Ponte non rappresenta una valida alternativa per il traffico locale, e solo una delle possibilità per il traffico di lunga distanza che ha proprio negli aerei (per i passeggeri) e nelle navi (per le merci) una valida alternativa (visto anche che una volta sbarcati in Sicilia lo stato di strade e ferrovie rimane disastroso).
Che si dica che sarà l’Alta velocità a ripagare l’investimento appare quanto meno singolare. Il progetto di collegamento Reggio Calabria-Napoli ha un costo stimato da RFI in almeno 15miliardi di Euro, non è nel piano finanziario delle Ferrovie per i prossimi anni.
Lo studio degli Advisor nominati dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 2000 per valutare il progetti dimostra che il Ponte avrà una forte sottoutilizzazione stradale perché "non attrae in misura significativa nuovo traffico a media e lunga distanza, né lo sottrae al mare e all’aereo". Lo studio degli Advisor sottolinea come "le tendenze di traffico esistenti non verranno significativamente modificate dalla disponibilità del Ponte come itinerario alternativo: è questa la principale ragione per cui l’utilizzo del Ponte rimane modesta".
Nella valutazione economica manca inoltre una stima credibile di un fattore che ha determinato la crisi finanziaria del Tunnel sotto la Manica e crea problemi allo stesso Ponte sull’Oresund: la concorrenza dei traghetti.
Consideriamo che il traffico locale nello Stretto continuerebbe a far uso dei traghetti (in particolare quelli tra le due città, perché il percorso con il Ponte per via delle rampe di accesso allunga di qualche decina di chilometri) e già oggi il 75 % degli spostamenti è senza macchina (il traffico pendolare locale non otterrebbe vantaggi significativi a causa delle congestioni in ingresso ed in uscita dalle città: circa 60 minuti dal centro di Reggio Calabria al centro di Messina).
Non c’è risposta da parte della Società Stretto di Messina, ma è inevitabile che dovranno essere fermati i traghetti e limitato lo sviluppo dei porti altrimenti sarà un crack finanziario.
Basta leggere i risultati dell’unica verifica fatta in questi anni sulla disponibilità a partecipare all’investimento da parte di operatori privati, ossia la Commissione del Ministero delle Infrastrutture coordinata da Gaetano Fontana a Settembre 2001 (già in carica il Ministro Lunardi), che riportava le seguenti condizioni per un interesse finanziario nell’operazione:
Rischi e modifiche di costo a carico dello Stato
Nessuna concorrenza da parte di traghetti e autostrade del Mare (per cui i Tir devono prendere il ponte e la Salerno-Reggio Calabria e non la nave).
Canone fisso da parte delle FS (perché sono prevedibili pochi treni).
Soldi subito, durante i cantieri e non al collaudo.
Possibilità di negoziazione successiva alla gara.
Le conclusioni a cui giunge il progetto presentato profilano prospettive occupazionali straordinarie quanto indimostrabili. Già nella fase di cantiere l’occupazione prevista risulta quasi tre volte superiore a quanto previsto dagli advisor.
Ma gli Advisor avevano anche messo a confronto l’impatto occupazionale del Ponte mettendolo a confronto con interventi alternativi che invece puntavano sul trasporti intermodale.
Le conclusioni a cui giungevano gli Advisor erano drastiche:
Meglio sarebbe, anche sotto il profilo dell’occupazione stabilmente generata, orientarsi dunque sul progetto alternativo:
"Non va, peraltro, sottaciuto un positivo impatto occupazionale dello scenario multimodale. Il potenziamento dei servizi di attraversamento genera, infatti, un incremento occupazionale nelle attività direttamente legate al sistema di trasporto nell’ambito ristretto delle due province di Reggio Calabria e Messina, di circa 1.100 addetti rispetto allo scenario ponte, e di circa 320 rispetto alla situazione attuale".
3. Un progetto incompleto per l’opera più complessa al Mondo.
Malgrado il Ponte venga presentato come l’infrastruttura tecnologicamente più complessa e avanzata al mondo, in grado di rilanciare e dare risalto all’ingegneria italiana, il progetto presentato risulta in larga parte pieno di lacune e sottovalutazioni rispetto agli aspetti più delicati e problematici.
Il progetto presentato per la valutazione da parte della commissione VIA non è altro che l’adattamento degli elaborati di massima del 1992. Le cause sono nella fretta legata alle promesse elettorali che ha portato a rinunciare a qualsiasi approfondimento di un progetto di oltre dieci anni fa:
-Non sono stati realizzati approfondimenti tecnici sulla struttura, malgrado la complessità senza paragoni al mondo del progetto e i problemi tecnici della soluzione scelta (delineati in maniera esemplare da F. Di Majo).
-Manca una analisi approfondita e aggiornata della situazione geologica e sismica dell’area. Malgrado venga ribadito negli stessi elaborati che ci troviamo nell’area geologicamente e tettonicamente più attiva del Mediterraneo centrale non esiste uno studio quantitativo sulle faglie attive né della geodinamica profonda conseguente allo "scontro" di placche tettoniche diverse e delle relazioni con la struttura.
Non è vero che gli studi a disposizione sono sufficienti per dare credibilità all’ipotesi tecnica proposta. Non esiste nessuna opera paragonabile per dimensione e complessità al mondo, né studi e simulazioni sui ponti a campata unica danno ancora oggi sicurezza sui risultati. A Londra il nuovo ponte pedonale "Millenium bridge", lungo esattamente un decimo di quello sullo Stretto, subito dopo l’inaugurazione a Giugno 2000 è stato chiuso perché subiva dei movimenti e delle spinte laterali tali da renderlo pericoloso per la sicurezza (per colpa del passaggio dei pedoni!!). Il più importante studio di ingegneria al mondo (Foster, Ove Arup & Partners) ha dovuto rivedere il proprio progetto, rifare analisi e simulazioni, modificare le strutture per via delle sollecitazioni non previste.
Le associazioni Italia Nostra, Legambiente e WWF nel consegnare il 19 Febbraio 2003 le Osservazioni allo Studio di Impatto Ambientale del progetto preliminare presentato dalla Stretto di Messina hanno chiesto, proprio per le lacune e omissioni della documentazione presentata, la sospensione della procedura di VIA.
La fiducia nella nuova Commissione VIA appena nominata dal Governo insieme alle nuove procedure della Legge Obiettivo possono forse rappresentare una possibile spiegazione della superficialità dello studio presentato.
Il progetto presentato per la valutazione contiene lacune sostanziali tali per cui non sussistono le condizioni minime per una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale ai sensi della Direttiva Comunitaria in vigore e del Decreto Legislativo 190/2002, tra i quali in sintesi si evidenziano:
Non sono individuati e valutati gli effetti prodotti, sia in fase di cantiere (cave, discariche e depositi) che di esercizio, sulle zone di pregio tutelate dalle normative europee e da quelle regionali: in particolare sugli 11 Siti di Interesse Comunitario e alle 2 Zone di Protezione Speciale, alla Riserva naturale regionale di Capo Peloro-Ganzirri.
Alcune opere fondamentali di collegamento al Ponte sono escluse dalla valutazione dello Studio di Impatto Ambientale sul lato Calabria la variante ferroviaria della linea tirrenica in corrispondenza di Cannitello (che incrocia i pilastri), la variante dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria in corrispondenza di Piale, il collegamento alla linea ad Alta Capacità Salerno-Reggio Calabria, mentre sul lato Siciliano il tratto di collegamento stradale Annunziata-Giostra con relativi svincoli in corso di esecuzione.
Non viene proposta una analisi delle alternative "sino all’opzione zero", come richiesto dalla legislazione europea, approfondendo le valutazioni già proposte dagli Advisor sul potenziamento dei collegamenti marittimi. Non sono state sviluppate valutazioni comparative con altre soluzioni a due o più campate o alternative che riguardassero le specifiche soluzioni per le parti di più rilevante impatto (torri e cantieri, blocchi di fondazione e collegamenti, ecc.).
L’unico confronto che viene proposto è quello tra il progetto predisposto nel 1992 e quello 2002, rispetto al quale si sostiene una riduzione complessiva degli impatti. Una tesi che risulta non motivata e contraddetta dalle stesse relazioni che riguardano i temi, sia per la relativa entità delle differenze tra i due progetti che anche per gli scarsi approfondimenti e il poco tempo a disposizione per gli studi ammesso nelle stesse relazioni.
Lo studio di impatto ambientale è impostato attraverso un approccio che non consente di valutare quali siano le pesanti modifiche che un’opera quale il Ponte produce sull’ambiente dello Stretto sia in fase di cantierizzazione che di realizzazione. L’impostazione proposta scompone gli impatti e li affronta in maniera separata per singoli aspetti a cui assegna specifici parametri. Diretta e rilevante conseguenza è l’assenza di un momento di valutazione del peso complessivo degli effetti dell’opera e "della interazione fra i fattori" come previsto dal Decreto Legislativo 190/2002 e dalla Direttiva 85/337.
Lo Studio di Impatto ambientale evidenzia profonde e insanabili contraddizioni. Nelle relazioni troviamo infatti valutazioni delle componenti che mettono in luce i grandi valori presenti nell’area, e si indica proprio come "Il progetto porterà senza dubbio uno sconvolgimento profondo al paesaggio e alle componenti ambientali di tutta l’area dello Stretto". Al contrario le schede di valutazione degli impatti proprio per l’impostazione proposta mettono sullo stesso piano aspetti marginali e sostanziali, di dettaglio e complessivi. La conseguenza risulta in molti casi grave, con impatti e pesi assegnati che risultano in molte parti contraddittori e differenti dalle stesse analisi proposte.
Appare fondata l’ipotesi che siano state mani differenti ad analizzare le componenti e a "pesare" gli impatti in modo da aggiustare i risultati.
Gli approfondimenti rispetto al progetto 1992 sono stati realizzati in seguito alle valutazioni e critiche sollevate sia dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che dall’Advisor, ma si ammette nello studio l’evidente inadeguatezza. Lo studio ammette che la mitigazione degli impatti per un opera di tale dimensione è in molti casi impossibile, proprio per l’alterazione irreversibile della geomorfologia delle aree, mentre interventi di compensazione sono difficilmente attuabili. Manca invece un computo del costo complessivo degli interventi di mitigazione previsti (in contrasto con i dettami del Decreto Legislativo 190/2002), mentre per molti interventi si fa solo cenno a possibili strategie di intervento.
L’infrastruttura, attraverso le torri alte 400 metri e i viadotti di collegamento ha un impatto enorme e irreversibile su aree abitate e ambiti di grande valore paesaggistico. Lo studio non prende in considerazione la rilevanza delle trasformazioni (testimoniate dalle immagini e dalle simulazioni presentate) portate dalle torri e dai piloni che sorgeranno tra case oggi abitate, da viadotti di collegamento e svincoli a 60 metri di quota tra montagne e boschi. Neanche rispetto a questi aspetti si presentano alternative, si valutano o propongono mitigazioni, si delineano compensazioni come in tutti gli studi di impatto ambientale.
Si deve sottolineare come il Ponte sullo Stretto non risulta collegato alla ferrovia sul lato calabrese. I motivi indicati sono nel fatto che sono opere (l’Alta Velocità ferroviaria) che spetterà alle Ferrovie dello Stato di realizzare.
I motivi veri sono invece altri.
Dipendono dai costi di realizzazione delle opere di collegamento che verranno realizzati tutti in galleria perché situati nelle delicate montagne dell’Appennino calabrese. E quindi vengono "affidati" a RFI e escluse dal Ponte perché farebbero lievitare di molto i costi, anche se "essenziali".
Dipendono anche dalla necessità di ridurre nella procedura di VIA l’impatto ambientale del progetto. In questo modo si valuta "l’impalcato", non come si innesta nelle montagne alle spalle. Il Ponte da solo così può passare la Via, poi si vedrà.
Una Cattedrale nel deserto, molto simile a storie già sentite come nei collegamenti mancanti a Gioia Tauro, alle dighe siciliane, al Porto di Messina.
Intanto però, fino a nuove decisioni da parte del Governo, sembra che i treni dovranno prendere il traghetto per non cadere dai piloni.
4) Il Ponte impedirà di fare le opere che servono al Sud.
Rinviate ferrovie, collegamenti ai Porti, strade
Il Ponte sullo Stretto di Messina sarebbe una infrastruttura tecnologicamente senza paragoni al mondo che darebbe un contributo minimo alla riorganizzazione dei collegamenti tra Sicilia e Italia.
Non è infatti lo stretto di Messina il collo di bottiglia dei trasporti tra la Sicilia e la Penisola. Oggi tutti gli scenari di mobilità per il Mezzogiorno dimostrano come sia necessario diversificare l’offerta di trasporto in funzione delle diverse esigenze di merci e passeggeri, medie e lunghe distanze, tipologie di merci, stagionalità turistica, puntando sulla integrazione tra le diverse modalità di spostamento.
Una delle più grandi bugie scritte e ripetute dalla Stretto di Messina è quella per cui il ponte serve soprattutto a rilanciare il trasporto ferroviario. Per rafforzarne la motivazione il Governo ha inserito un'altra opera faraonica come l’Alta Velocità fino a Reggio Calabria. Occorre ricordare che non siamo in Olanda ma in Sicilia dove la velocità commerciale sulla rete ferroviaria è ancora di 24 km/h, con solo metà delle tratte elettrificate e 105 km a doppio binario. Il contributo dato dalla costruzione del Ponte, in termini di risparmio nel tragitto ferroviario tra Napoli e Palermo è irrisorio.
Se il Ponte verrà realizzato verranno posti forti limiti all’utilizzo dei traghetti e al rilancio del cabotaggio. La spesa da parte dello Stato porterà a rinunciare a realizzare opere ben più importanti e urgenti:
Ferroviarie: dal potenziamento e collegamento della rete tirrenica con Taranto e Bari, dal potenziamento dei collegamenti tra Catania, Messina e Palermo, all’adeguamento di linee vecchissime come la Palermo-Agrigento e la Ragusa-Catania.
Portuali: con il rafforzamento dei collegamenti e delle strutture nelle aree portuali di Messina, Palermo, Trapani, Catania, Villa San Giovanni, Gioia Tauro e Taranto.
Stradali: dall’adeguamento della Statale Jonica al completamento dei collegamenti alla A3 in Calabria, dal completamento della Palermo-Messina, all’adeguamento dei collegamenti tra Catania, Siracusa e Gela.

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