Pietro Berti

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Anchorage

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domenica 6 marzo 2011

Il partito del non voto


Non possono esistere dubbi sul fatto che il dato più emblematico uscito (o sarebbe meglio dire mai entrato) dalle urne di queste elezioni regionali di marzo 2010 sia costituito dai quasi 3 milioni e mezzo in più di cittadini che non si sono recati a votare, portando il “partito” dell’astensione a sfiorare il 37%, diventando di fatto il maggiore partito del Paese. Un incremento nell’ordine dell’8%, con punte fra il 14%, il 12% e il 10% in Puglia, Lazio e Toscana, che qualifica il partito del non voto come l’unico reale vincitore di questa tornata elettorale.
Una vittoria, quella del non voto, determinata da una campagna elettorale sincopata, nevrotica al limite del parossismo, giocata esclusivamente intorno allo screditamento dell’avversario, totalmente priva di qualsiasi abbozzo di programma credibile.
Una campagna elettorale nel corso della quale i problemi reali del paese, che si chiamano crisi occupazionale, disastro economico, crollo del potere di acquisto delle famiglie, inquinamento del territorio, sono stati lasciati a margine da parte delle due coalizioni impegnate a contendersi il governo delle regioni.
Una campagna elettorale imperniata sulla violenza verbale dispensata a piene mani, vissuta fra litigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incentrati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizzati per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali fra i due poli che si contendono il governo regionale.
Un italiano su tre ha dunque preferito non recarsi a votare nonostante (o forse anche a causa) la quantità industriale di materiale pubblicitario che ha riempito le buche delle lettere, l’ossessiva tempesta delle telefonate a domicilio, la massa dei manifesti ad abbruttire i muri delle città, la marea di “santini” con faccioni sorridenti e cravatte multicolori. Tutto materiale che a dispetto degli sforzi esperiti dagli esperti del marketing è apparso intriso di un vuoto cosmico, tanto era infarcito di slogan demagogici che sarebbero parsi artificiosi anche agli occhi di un bambino di 5 anni e miravano unicamente a fare leva sulla tanto stantia quanto ormai sempre più improponibile scelta di campo fra destra e sinistra.
Anche in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la distanza fra i partiti politici ed i cittadini continua perciò a farsi sempre più siderale, dimostrando in maniera inequivocabile l’inadeguatezza di un sistema come quello della democrazia rappresentativa, soprattutto qualora gestito in termini di bipolarismo. Anche il clima da “guerra civile” creato nell’occasione e gli “epici” inviti a scelte di campo presentate come decisive, non sembrano avere sortito l’effetto voluto.
I cittadini stanno continuando ad allontanarsi ed i partiti politici parlano ogni giorno di più un linguaggio alieno a chi vive e soffre nel paese reale, un linguaggio autoreferenziale che ben presto rischierà di trasformarsi in una lingua morta.
Per quanto riguarda i risultati elettorali non sono mancate le sorprese e neppure gli elementi che meritano di diventare oggetto di riflessione.
Il centrosinistra, nonostante l’operato del governo Berlusconi non sia stato fin qui entusiasmante, ha nuovamente subito una sconfitta cocente. Se la perdita di regioni come la Calabria, la Campania ed il Lazio può trovare la spiegazione all’interno degli scandali di varia natura che hanno caratterizzato le amministrazioni esistenti, ben più grave appare la debacle in Piemonte. Dove Mercedes Bresso si è vista costretta a cedere il passo a Cota, nonostante fosse riuscita ad incamerare nella propria coalizione tanto l’UDC di Casini quanto la Federazione della sinistra radicale. E’ indicativo il fatto che l’unica regione “a rischio” nella quale il centrosinistra ottiene un risultato positivo sia proprio quella Puglia dove Nichi Vendola ha difeso con i denti la propria candidatura, imponendo una lista più “di sinistra” rispetto al listone in alleanza con l’UDC che era stato imposto da D’Alema
Le liste 5 stelle di Beppe Grillo hanno ottenuto nel complesso risultati di tutto rilievo, fra i quali spiccano Giovanni Favia in Emilia Romagna che ha ottenuto il 7% e Davide Bono in Piemonte arrivato a superare il 4%, a dimostrazione del fatto che esiste senza dubbio ampio spazio di manovra per chi intenda costruire delle alternative ai partiti politici tradizionali.
L’inesorabile continua discesa del centrosinistra, laddove questo non riesce a proporsi come concreto elemento di alternativa, ma semplicemente come una fotocopia sbiadita di Berlusconi, unitamente al buon risultato delle liste che fanno riferimento a Beppe Grillo e al grande incremento dell’astensione, stanno a dimostrare in maniera inequivocabile tanto il “bisogno” di alternative concrete da parte dell’elettorato, quanto la palese incapacità di esprimere le stesse espresse dal sistema dei partiti.
Proprio questo bisogno di alternative concrete, pensiamo possa considerarsi la vera novità di questa tornata elettorale. Una novità destinata naturalmente ad essere sottaciuta, tanto dal sistema dei partiti ormai incancrenito nella spartizione del potere, quanto dai media mainstream che di quel potere rappresentano uno degli elementi cardine.
Marco Cedolin

Martedì 30 Marzo 2010 05:26 Marco Cedolin
estratto da: http://www.reportonline.it/2010033041894/politica/il-partito-del-non-voto.html

Quanto conta il voto del partito di chi non vota

di ILVO DIAMANTI

Alle legislative del 2006, oltre il 15% degli elettori dichiararono di aver deciso per quale partito votare nell'ultima settimana. Il 6% il giorno stesso (indagine postelettorale di LaPolis, Università di Urbino). In pratica, nel tragitto fra casa e il seggio. Magari: in cabina, aprendo la scheda. Perché la scelta di voto non è un atto scontato. Le radicate fedeltà di un tempo, nel tempo, si sono sfaldate. Insieme ai partiti intorno a cui si erano formate. Poi, non bisogna credere che tutte le persone siano egualmente interessate alla politica. Al contrario: è vista dai più con indifferenza e, talora, con fastidio. Per cui, non si deve pretendere che fin dal primo giorno di campagna elettorale tutti gli elettori si chiedano - e sappiano - per chi votare. In numerosi casi, peraltro, le convinzioni cambiano. Anche quando sembrano solide. L'elettore deciso a cambiare, al momento del voto, spesso ritorna sui suoi passi. Oppure, viceversa: l'elettore privo di dubbi, al momento del voto, di fronte alla scheda decide di svoltare. Un segno e via. Naturalmente, ogni elezione fa storia a sé. Le politiche del 2006 si tradussero in una sorta di scontro bellico-mediatico, che infiammò la campagna. Così, Berlusconi mobilitò molti elettori di centrodestra, affetti dalla delusione e dall'apatia. Questa volta il discorso è diverso. La campagna elettorale appare più apatica degli elettori. I due principali candidati alla vittoria finale intenzionati a confrontarsi solo a distanza. Degli scontri di due anni fa, oggi, risuonano solo echi lontani. In tivù, ormai, passano perlopiù i candidati degli altri partiti, alla caccia di visibilità. E del quorum. Per cui è probabile che la quota di coloro che ancora non hanno deciso oppure, più semplicemente, non si sono ancora posti il problema, sia più ampia di due anni fa. Molto più ampia, diremmo. Anche perché, rispetto al passato, è cambiata l'offerta politica. I partiti, le sigle, le coalizioni. Molti elettori non hanno ancora compreso le novità e i cambiamenti di questa fase. Altri, invece, non le hanno metabolizzate; stentano ad accettarle. Per cui, la quota degli incerti, a una settimana dal voto, è alta. Crediamo che si estenda a poco meno di tre elettori su dieci. Non abbiamo dati precisi; ma, soprattutto, non li possiamo dare. Per par condicio. Per cui, ragioniamo a spanne. Un terzo di questi "elettori in bilico" sono distaccati, estranei alla politica. Non è improbabile che, alla fine, se la giornata è bella - e forse anche se il tempo è brutto - si scordino di votare. I rimanenti "elettori in bilico" si dividono a metà, tra indecisi e (potenziali) astensionisti. In altri termini: fra elettori che non hanno deciso "per chi" oppure "se" votare. In entrambi i casi, prevalgono coloro che, nel 2006, avevano votato per il centro-sinistra. Soprattutto per la lista dell'Ulivo. Ma è significativo anche il peso degli elettori di centro. Gli elettori incerti, perlopiù, sono orientati da una "certezza inconsapevole". Al momento del voto, in altri termini, esprimeranno la scelta di sempre (lo hanno sottolineato, fra gli altri, Pagnoncelli, Vannucci e Natale). Basta offrire loro una buona ragione. Diverso è il discorso degli astensionisti. I quali, in questa occasione, si presentano in modo parzialmente nuovo e diverso rispetto alle elezioni precedenti. In quanto non si esauriscono nei tipi tradizionali. Nell'astensionista marginale: estraneo alla politica anche perché socialmente periferico. Oppure nell'elettore indifferente, che, se risvegliato, si colloca perlopiù a destra. In questa fase, invece, appare particolarmente esteso un atteggiamento di "astensione attiva". Spesso dichiarata. Proclamata. Espressa, ripetiamo, soprattutto da elettori di centrosinistra. Informati, spesso politicamente coinvolti. Facendo riferimento ad alcune indagini condotte in questa fase (da Demos, Ipsos e SWG), possiamo individuare tre tipi principali. a) I "vaffa". Considerano il Pd uguale agli altri partiti. Perché non ha rinunciato ai privilegi della Casta. Ha mantenuto in lista troppi esponenti della nomenclatura, qualche indagato e molti volti nuovi di cui non si sentiva il bisogno. b) I "tradizionalisti". Fedeli alle tradizioni politiche più radicate. Ex-comunisti ed ex-democristiani. Oppure: ex-diessini e popolari. Non si capacitano, di fronte a un soggetto politico nuovo, come il Pd. Che, per scelta, ha reciso i legami con il passato. E guarda altrove: all'America, all'Inghilterra di Blair. O, peggio, all'Italia di Berlusconi. A maggior ragione, stentano a riconoscersi nel "melting pot" della Sinistra Arcobaleno. c) I "radical". Sofisticati, considerano l'approccio del Pd di Veltroni troppo frivolo e mite. Troppo dissociato. Troppo incline alla filosofia del "ma anche". Troppo pop. Meglio: nazionalpopolare. Scarsamente laico. Troppo lib e poco lab. Stressato fra la Binetti e Calearo. Per gran parte di questi elettori, l'astensione è una scelta. Il "voto di chi non vota" (efficace titolo di un volume curato da Mario Caciagli e Pasquale Scaramozzino, pubblicato anni fa dal Mulino). Questi tre tipi di astensionisti risultano, tutti, attraversati da un sentimento comune e condiviso. La frustrazione prodotta dall'assenza del Nemico. Dalla scomparsa di Berlusconi dal discorso politico di Veltroni. Che ha rinunciato perfino a nominarlo. Usa perifrasi, come: "il principale esponente dello schieramento a noi avverso". E lo fa in modo aperto e provocatorio. Per marcare la distanza dal centrosinistra passato (più o meno prossimo). Che aveva costruito vittorie e sconfitte sulla figura del Cavaliere. Sull'Antiberlusconismo. Fino a divenirne gregario. Per cui Veltroni prosegue, senza esitazioni, questa campagna elettorale "irenica", come l'ha definita, con un po' d'ironia, Giovanni Sartori (sul Corriere della Sera). Toni bassi, rinuncia a temi dominanti e laceranti, pluralità tematica. Berlusconi trasformato nel "Cavaliere inesistente". L'Innominato. In questo modo, il leader del Pd, dopo aver eroso (secondo i sondaggi) la base della Sinistra, si rivolge agli elettori moderati. In altri termini: approfittando degli attacchi lanciati da Berlusconi contro l'UdC, in nome del "voto utile", cerca di spingere gli elettori di centro verso il Pd. In questo modo, però, alimenta la tentazione astensionista, nella sua base. Delusa dall'esperienza di governo, ma anche da una campagna elettorale sottotraccia. L'esito delle elezioni, domenica prossima, dipenderà, in misura significativa, dal "voto di chi non vota". Il risultato del Pd, in particolare, pare destinato a migliorare quanto più il livello di partecipazione elettorale crescerà, avvicinandosi all'84% raggiunto due anni fa. Da ciò, un duplice quesito. 1) A Walter Veltroni: se sia possibile dissipare l'incertezza e la voglia di astensione, diffuse nella sua base, senza deviare, nemmeno per sbaglio, il suo viaggio su Arcore. Senza sfidare apertamente il Cavaliere. Come in ogni battaglia - o, se si preferisce, competizione - elettorale che si rispetti. 2) Agli elettori tentati dall'astensione attiva. Ai "vaffa", ai "tradizionalisti" e ai "radical". Se sia davvero inattuale il paradigma montanelliano, che invita a turarsi il naso e a votare il "meno peggio". Per non contribuire, con il loro (non) voto consapevole, a consegnare il governo del Paese nelle mani dell'Innominato. (6 aprile 2008)



Astensionismo, da astensione, astenere, termini derivati dal verbo latino abstinere, composto da abs (da) e tenere, (tenere lontano). Con la forma riflessiva astenersi si indica genericamente l'intento di privarsi volontariamente dal compiere una qualche azione.
Il termine astensionismo si usa quasi esclusivamente nell'ambito dei significati politici per cui con questa parola si vuole indicare la non partecipazione sia al voto, quando si venga sporadicamente chiamati ad esprimersi in particolari occasioni referendarie, sia ad elezioni che si ripetono con frequenze regolari. Nel primo caso l'astensionismo varia notevolmente a seconda dell'interesse dell'elettore e del suo coinvolgimento emotivo riguardo ai temi proposti a votazione mentre nell'occasione delle elezioni si sta registrando (almeno sino al 2008) un astensionismo costantemente crescente.[1]
Indice[nascondi]
1 L'astensionismo in Italia
2 Le forme dell'astensionismo
3 Il confronto con l'astensionismo in Europa
4 L'astensionismo fra Nord e Sud d'Italia
5 Conclusioni
6 Note
7 Bibliografia
L'astensionismo in Italia [modifica]
Le analisi statistiche dimostrano che il fenomeno dell'astensionismo è andato crescendo in Italia a partire dagli anni '70 [2] quando con la "questione morale" messa in luce nel 1977 da Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, si cominciò a denunciare la corruzione dei partiti politici. [3]
Dall'iniziale astensionismo del 6,6% degli elettori alle politiche del 1976, considerando anche i cosiddetti voti inespressi, cioè le schede bianche e nulle, si è in tempi recenti arrivati alla non partecipazione al voto di un elettore su quattro.[4]
Le elezioni dal 1948 al 1976 vedono l'affluenza degli elettori alle urne con un'incidenza assai rilevante del 92% che diminuisce sempre più a partire dal 1979.
L'analisi politologica, messe da parte le valutazioni moraleggianti, ha identificato le cause del fenomeno innanzitutto nel progressivo sfaldamento dei partiti e delle loro organizzazioni politiche sul territorio che ha fatto mancare la mobilitazione degli elettori e quel senso di identificazione con il programma politico del partito di appartenenza che si traduceva in un'alta partecipazione al voto.
La quasi assenza dell'astensionismo nelle prime elezioni del dopoguerra si giustifica anche per il desiderio dei cittadini di recuperare la libertà politica repressa nel periodo fascista e per la volontà di mettere in atto quel diritto-dovere che la nuova costituzione repubblicana assicurava ai cittadini e che la legge ordinaria sanzionava in caso di non partecipazione al voto.
L'astensionismo aumenta alla fine degli anni '70 anche in coincidenza della nascita di un maggior numero di partiti che, per la necessità di vincere le elezioni, si adattano alla formazione di cartelli elettorali talora eterogenei col risultato di aumentare la sfiducia degli elettori.
Se però con la sfiducia aumenta, negli anni '80 e '90, la decisione di non andare a votare, questa secondo alcuni politologi, è anche significativa di una maggiore razionalizzazione dell'espressione del voto. Mentre prima ci si sentiva legati alle ideologie dei partiti ora alla mancanza della loyalty (fedeltà) nei loro confronti si associa un aumento della exit (uscita), del non voto, con una crescita della voice, della protesta nei confronti di chi ha deluso certe attese magari rivolgendosi a formazioni politiche che fanno professione di rifiuto del sistema partitico.[5]
Discordanti presso gli studiosi le valutazioni dell'astensionismo [6]: secondo alcuni la non partecipazione al voto contraddistingue le democrazie mature dove si assiste a una naturale diminuzione dei votanti collegata a una minore passionalità politica secondo altri l'astensionismo è un pericoloso segnale di sfiducia nella politica. Di fatto oggi l'astensionismo è stato, contrariamente al passato, riconosciuto nell'ambito di un comportamento legittimo del cittadino ridefinendo con le leggi 276 e 277, del 4 agosto 1993 l'espressione del voto come un diritto e non più anche come un dovere.
Le forme dell'astensionismo [modifica]
Vi sono quindi diverse forme dell'astensionismo:
Astensionismo fisiologico-demografico
Un'assenza dal voto, determinata da cause fisiologiche che generano malattie invalidanti, che va distinta da quella dovuta a motivazioni demografiche quali il minor numero di iscritti nelle liste elettorali per la diminuzione della natalità o per l'invecchiamento degli aventi diritto al voto che rende loro difficoltoso recarsi a votare.
Astensionismo tecnico-elettorale
Astensionismo causato dalle difficoltà di capire o di accettare nuove modalità di voto o da una scarsa efficienza nel recapito dei certificati elettorali.
Astensionismo apatico
Fenomeno questo connesso alla crisi delle ideologie e dei partiti verso la fine degli anni '70.
Astensionismo di sfiducia-protesta
Caratteristico delle ultime consultazioni elettorali dopo la fine della cosiddetta prima repubblica.
Il confronto con l'astensionismo in Europa [modifica]
Se confrontiamo l'astensionismo in Italia con quello degli altri paesi europei vediamo che la non partecipazione al voto pone gli italiani al quinto posto [7], con un'astensione che si traduce non tanto nell'assenza ai seggi, come nel resto d'Europa, quanto piuttosto nell'inserire nell'urna schede bianche o nulle. Il che fa pensare che gli italiani risentano ancora del giudizio morale negativo che la società esprime nei confronti di chi non vota e mascherino la loro volontà di astenersi con la presenza al seggio ma con l'espressione di un voto non valido.[8]
L'astensionismo fra Nord e Sud d'Italia [modifica]
L'astensionismo è stato fino al 1953 storicamente maggiore di circa due punti percentuale nel meridione italiano rispetto al resto d'Italia: si pensi per esempio alla intensa partecipazione al voto delle cosiddette regioni "rosse"; anche se bisogna tener conto del fenomeno migratorio che ha caratterizzato essenzialmente le regioni meridionali con la spesso frequente difficoltà per gli emigrati di raggiungere i seggi nei paesi d'origine o di ricevere i certificati elettorali. Dai dati statistici risulta ora che nelle tre consultazioni politiche, del 1994, 1996, 2001, sebbene vi sia stato un aumento dei non votanti anche nel Nord, l'astensionismo del meridione, specie quello delle isole, è in costante aumento: [9] segnale questo indubbio di un'aumentata sfiducia generale di un elettorato sempre più deluso da dove emerge inoltre che, a livello nazionale, dal '94 al '96 non vi è più molta differenza tra la non partecipazione maschile e quella femminile: e questo anche perché mentre diminuisce l'astensionismo femminile al Sud rispetto a quello maschile, che rimane sostanzialmente immutato, al Nord cresce quello maschile rispetto a quello femminile.
Conclusioni [modifica]
Rispetto ai primi anni della storia della Repubblica oggi il significato del voto è cambiato: ha perso quell'aura di "sacralità" legata alla conquista della libertà dopo la dittatura
« Attualmente è considerato normale recarsi a votare, come non recarsi a votare. Il deporre la scheda nell’urna è percepito sempre meno come un diritto, e ancor meno come un dovere, e sempre più come una facoltà di cui avvalersi. »
(Linda Laura Sabbadini, Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere, pag.44 Roma, 28 febbraio 2006)
La difficoltà a capire le trasformazioni politiche come scissioni, ricomposizioni ed alleanze, ed altri bizantinismi lontani dagli interessi concreti dei cittadini rendono l'astensionismo "fisiologico", come sfiducia e rifiuto ma anche con un significato "sanzionatorio" nei confronti di quei partiti dai quali i votanti con una condotta più razionale, si considerano ormai in gran parte non più legati ideologicamente e ai quali inviano un messaggio di non voto equivalente a un rimprovero e a un invito a modificare i loro comportamenti politici.[10]
Note [modifica]
^ «Elezioni politiche 2008. La maggior crescita di astensionismo elettorale del dopoguerra, assieme a quella del 1996. Nelle elezioni politiche appena concluse, l’incidenza di non votanti ha sfiorato il 20% (19,5%), con un sensibile aumento rispetto alle precedenti elezioni del 2006.» Istituto Cattaneo, Elezioni politiche 2008
^ Ministero per le Pari Opportunità, Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna. Linda Laura Sabbadini, Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere, Roma, 28 febbraio 2006
^ Giovanni Greco, Davide Monda Novecento italiano raccontato da scrittori, Liguori Editore Srl, 2008 p.464)
^ Nelle elezioni del 2001 la percentuale degli astenuti è stata del 18,6% (in L. L. Sabbadini, op.cit.)
^ Hirschman, A.O. Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, 1970.
^ Corbetta, P. e Parisi, A., Il calo della partecipazione elettorale: disaffezione dalle istituzioni o crisi dei riferimenti partitici? in Polis, 1987, n.1.
^ Tav. 3.2 in Scaramozzino, P. Il voto di chi non vota, in Mussino, A. (a cura di) Le nuove forme di astensionismo elettorale, Roma, La sapienza,1999, pp. 49-50.
^ Vittoria Cuturi, Rossana Sampugnaro, Venera Tomaselli, L'elettore instabile-voto-non voto, Ed.FrancoAngeli, 2000 p.54
^ Tav.4.5 in Scaramozzino P., op.cit.
^ L. L. Sabbadini, op.cit., pag.44
Bibliografia [modifica]
Agosta, A., L’astensionismo elettorale in Italia. Dimensioni e incidenza politica, in Democrazia e diritto, 1982, n.5;
Caciagli, M. e Scaramozzino P. (a cura di), Il voto di chi non vota, Milano, Comunità, 1983;
Cartocci, R., Elettori in Italia. Riflessioni sulle vicende elettorali degli anni Ottanta, Bologna, Il Mulino, 1990;
Corbetta, P. e Parisi, A., Il calo della partecipazione elettorale: disaffezione dalle istituzioni o crisi dei riferimenti partitici? in Polis, 1987, n.1;
Corbetta, P. e Parisi, A., Smobilitazione partitica e astensionismo elettorale, in Polis, 1994, n.3;
Ferrarotti, F. (a cura di), La protesta silenziosa, Roma, Siares, 1989;
Fruncillo, D., Urna del silenzio: l’astensionismo elettorale in Italia, Roma, Ediesse, 2004;
Mannheimer, R. e Sani, G., Il mercato elettorale. Identikit dell’elettore italiano, Bologna, Il Mulino, 1987;
Mannheimer, R. e Sani, G., La conquista degli astenuti, Bologna, Il Mulino, 2001;
Mussino, A. (a cura di), Le nuove forme di astensionismo elettorale, Roma, La sapienza,1999;
Nuvoli, P. e Spreafico, A., Il partito del non voto,


Caciagli, M. e Spreafico, A. (a cura di), Vent’anni di elezioni in Italia, Padova, Liviana, 1990.
L.L. Sabbadini, Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere, Roma,2006
Partizipation und Abstinenz, 1973
U. Engler, Stimmbeteiligung und Demokratie, 1973
L. Neidhart, Ursachen der gegenwärtigen Stimmabstinenz in der Schweiz, 1977
A. Riklin, Stimmabstinenz und direkte Demokratie, 1981
S. Veya, L'abstentionnisme, mem. lic. Neuchâtel, 1992
Adriano Gianturco Gulisano, "La fenomenologia del non voto e del voto no alle elezioni europee 2009”, in Election day. Votare tutti e tutto assieme, fa bene alla democrazia?, R. De Mucci (a cura di), Luiss University Press, Roma, 2010.

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